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Art. 4: Principi generali.
1. Al fine di favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili e il conseguimento, nel rispetto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, degli obiettivi di cui all'articolo 3, la costruzione e l'esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sono disciplinati secondo speciali procedure amministrative semplificate, accelerate, proporzionate e adeguate, sulla base delle specifiche caratteristiche di ogni singola applicazione.
2. L'attività di cui al comma 1 è regolata, secondo un criterio di proporzionalità:
a) dall'autorizzazione unica di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, come modificato dall'articolo 5 del presente decreto;
b) dalla procedura abilitativa semplificata di cui all'articolo 6, ovvero
c) dalla comunicazione relativa alle attività in edilizia libera di cui all'articolo 6, comma 11.
3. Al fine di evitare l'elusione della normativa di tutela dell'ambiente, del patrimonio culturale, della salute e della pubblica incolumità, fermo restando quanto disposto dalla Parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, e, in particolare, dagli articoli 270, 273 e 282, per quanto attiene all'individuazione degli impianti e al convogliamento delle emissioni, le Regioni e le Province autonome stabiliscono i casi in cui la presentazione di più progetti per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili e localizzati nella medesima area o in aree contigue sono da valutare in termini cumulativi nell'ambito della valutazione di impatto ambientale.
4. I gestori di rete, per la realizzazione di opere di sviluppo funzionali all'immissione e al ritiro dell'energia prodotta da una pluralità di impianti non inserite nei preventivi di connessione, richiedono l'autorizzazione con il procedimento di cui all'articolo 16, salvaguardando l'obiettivo di coordinare anche i tempi di sviluppo delle reti e di sviluppo degli impianti di produzione.
5. Per gli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti, è fatto salvo quanto disposto dall'articolo 182, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni.
6. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono stabilite specifiche procedure autorizzative, con tempistica accelerata ed adempimenti semplificati, per i casi di realizzazione di impianti di produzione da fonti rinnovabili in sostituzione di altri impianti energetici, anche alimentati da fonti rinnovabili.
La semplificazione
Apparentemente consapevole delle difficoltà amministrative e burocratiche, prima ancora che tecniche ed economiche, che ostacolano lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, il Legislatore si pone preliminarmente l’ambizioso obiettivo di ridurre e snellire l’iter amministrativo volto ad autorizzare l’installazione e l’utilizzo degli impianti.[1]
Viene così stabilito nel decreto, subito dopo la parte introduttiva che indica le finalità della legge e, seguendo l’ormai imperante “moda nomofilattica” anglosassone, le definizioni delle espressioni terminologiche successivamente utilizzate nel corpo della legge, che “la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sono disciplinati secondo speciali procedure amministrative”, caratterizzate essenzialmente dalla tendenziale semplificazione dell’iter procedimentale necessario.
Del tutto assente dal corpo normativo, in base a tale logica, è quindi ogni riferimento alla concessione, intesa tradizionalmente come il provvedimento amministrativo attraverso il quale la P.A. conferisce situazioni giuridiche soggettive, attribuendole o trasferendole ex novo. L’istituto che trova spazio nel sistema delle incentivazione all’utilizzo di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili e, invece, l’autorizzazione, anche questa intesa nel senso classico di intervento della P.A. volto a rimuovere un limite all’esercizio di un diritto preesistente.[2]
A tale significato, che potremmo considerare ontologico, però si accompagna il rilevante intento pubblicistico di promozione di una determinata attività, considerata di notevole interesse generale, in quanto “sempre più spesso l’ordinamento tende a rendere in qualche modo servente l’interesse privato rispetto a quello pubblico, conformando l’azione dell’autorizzazione in vista del conseguimento di tale ultimo interesse”.[3]
Salvaguardia dell’ambiente, riduzione delle emissioni inquinanti e produzione di energia “pulita” sono obiettivi di politica ambientale [4] che il legislatore persegue quindi non solo attraverso forti incentivi di carattere economico[5], ma anche mediante interventi liberalizzatori e di snellimento della procedura, onde rendere ancor più interessante per il privato l’adozione di tali sistemi, perseguendo così congiuntamente sia l’interesse pubblico alla tutela ambientale che quello privato di contenimento dei costi.
Le attività liberalizzate. Breve digressione storico-giuridica
Prima di addentrarci nell’esame delle singole procedure “semplificate” indicate dalla norma, si premettono alcune riflessioni generali e riassuntive in tema di semplificazione amministrativa in sede di procedura per il rilascio di autorizzazioni latu sensu amministrative o, come oggi possiamo affermare, di “attività liberalizzate” (ex art. 6 Dl 138/11).
La Denuncia di Inizio Attività (DIA) fa ingresso nel nostro ordinamento con la legge n. 241 del 1990 che, all’art. 19, stabilisce per la prima volta che “spetta all'amministrazione competente, entro e non oltre sessanta giorni dalla denuncia, verificare d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge”.
A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 122/10 la normativa è stata fortemente innovata, con l’introduzione del nuovo istituto della Segnalazione Certificata di Inizio Attività, che rappresenta un ulteriore, notevole, sforzo nella direzione della “sburocraticizzazione” dell’attività economica [6].
La procedura, come novellata, consente di iniziare immediatamente l’attività oggetto della segnalazione (c.d. legittimazione immediata), ribaltando sull’Amministrazione l’onere di verificare l’esistenza dei requisiti di legge nel termine perentorio di sessanta giorni dal deposito della segnalazione, con ciò snellendo ulteriormente il procedimento originariamente stabilito dalla disciplina della Dia, che si fondava sulla cosiddetta “legittimazione differita”, in forza della quale l’attività poteva iniziarsi solo dopo decorso il termine concesso all’Amministrazione per la verifica dei presupposti necessari.
L’aspetto sicuramente più innovativo rispetto alla DIA è rappresentato dal fatto che la SCIA, nei casi in cui la legge preveda l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive, comprende comunque le autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui sopra, facendo salvi i successivi controlli degli enti e amministrazioni competenti in base ciascuno al proprio regolamento sui controlli stessi.
In tema di interventi “edilizi” volti ad ottenere risparmi energetici e tutela dell’ambiente, già il c.d. Terzo Conto Energia (ossia il decreto del ministero dello Sviluppo economico emesso il 6 agosto 2010 e recante Incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare, G.U. 24 agosto 2010), assoggettava a semplice Denuncia di Inizio Attività la costruzione e l'esercizio di impianti e delle opere connesse, anche se limitatamente al settore fotovoltaico.
Con l’introduzione della SCIA si era posto il problema dell’applicabilità di tale strumento alla materia delle costruzioni [7], questione ora definitivamente superata alla luce dell’espressa previsione legislativa introdotta dall’art. 5 del Dl 13 maggio 2011, n. 70 che, al n. 2) della lett. b) del comma 2 ha aggiunto il comma 6bis all’art. 19 della l. 241/90, stabilendo che la SCIA è direttamente applicabile anche alla materia edilizia, tra l’altro riducendo il termine originario di sessanta giorni a trenta.
Tale “transizione” da un regime ad un altro non è stata certamente indolore, in quanto il Legislatore ha sempre dimostrato anche notevole diffidenza nei confronti di tale istituto[8], la cui portata liberalizzatrice va ben al di là del mero silenzio-assenso di cui all’art. 20 della l. 241/90. [9]
Anche nel caso degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, infatti, il Legislatore, pur partendo da un’ottica fortemente liberalizzatrice, ha comunque introdotto una serie di vincoli e cautele, in particolare a tutela dell’ambiente, del patrimonio culturale, della salute e della pubblica incolumità (vedi infra, art. 4, comma 3).
Natura giuridica della Dichiarazione / Segnalazione di inizio attività
Tradizionalmente si sono confrontate due diverse concezioni in ordine alla natura della DIA.[10]
Secondo parte della Dottrina e della Giurisprudenza, la Dichiarazione sarebbe “un modulo di semplificazione procedimentale messo a disposizione del privato attraverso il quale questi può ottenere, a fronte di una propria istanza, una autorizzazione implicita di natura provvedimentale”, ossia una sorta di atto tacito di assenso”.[11]
Secondo altra tesi, invece, la DIA sarebbe un atto soggettivamente e oggettivamente privato, “a fronte del quale il dichiarante si assume un’autoresponsabilità rispetto all’attività dichiarata che può essere iniziata senza il consenso della pubblica amminstrazione”, ferma la possibilità di quest’ultima di verificare nel termine fissato la sussistenza dei presupposti di legge. [12]
Questa era l’interpretazione fatta propria dal Consiglio di Stato (Adunanza plenaria 15/2011), secondo cui la Denuncia di Inizio Attività costituisce un atto privato, volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività ammessa dalla legge.
E questa è stata la tesi espressamente accolta dal legislatore che, con l’art. 6 del Dl 138/11, ha modificato il più volte citato art. 19 della l. 241/90, introducendo nel corpo nella norma il comma 6ter, il quale stabilisce chiaramente che “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti”.
La norma in commento ha introdotto notevoli innovazioni in materia, che pongono più di qualche problema di coordinamento.
La semplificazione procedurale nel Dlgs n. 28/11
Come detto, stabilisce l’art. 4, vera e propria norma cardine della legge in commento, che costruzione ed esercizio degli impianti sono sottratti all’ordinario procedimento autorizzatorio e sono, per contro, disciplinate da procedure “speciali”, individuate dai seguenti caratteri:
- semplificate
- accelerate
- proporzionate
- adeguate.
Semplificazione e accelerazione sono due caratteristiche che si definiscono, per così dire, a contrario: si tratta di procedimenti meno farraginosi e più rapidi di quelli ordinari, caratterizzati da un supporto documentale inferiore e decisamente più snello rispetto a quello tradizionale, nonché da una tempistica ridotta se non, in alcuni casi, addirittura assente, mancando per le ipotesi più semplici qualsiasi termine iniziale.
Proporzionalità e adeguatezza, invece, sono due elementi che vengono espressamente definiti e disciplinati al comma 2 dell’art. 4, a seconda delle dimensioni e della rilevanza dell’intervento (maggiore è l’impatto dell’impianto, più stringente e gravosa è la normativa applicabile, “nel rispetto del principio di non aggravamento del procedimento di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990”: paragrafo 11.1 delle Linee Guida).
Avremo, quindi, tre distinte tipologie di procedura autorizzatoria:
a) l’autorizzazione unica di cui all’art. 12 del Dlgs 387/03;
b) la procedura abilitativa semplificata,
c) la comunicazione relativa alle attività in edilizia libera.
Entrambe tali ultime due ipotesi sono disciplinate dall’art. 6 dello stesso Dlgs n. 28/11, mentre all’Autorizzazione Unica è dedicato l’art. 5.
La struttura della norma, peraltro, si richiama espressamente alla tripartizione prevista dai paragrafi 10, 11 e 12 delle Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili (DM Sviluppo economico 10 settembre 2010: vedi infra), che detta appunto la tripartizione del Regime Giuridico delle autorizzazioni (Parte II), distinguendo tra:
- interventi soggetti ad Autorizzazione unica (paragrafo 10),
- interventi soggetti a Denuncia di Inizio di Attività (ora SCIA),
- interventi di attività edilizia libera.
Viene semplificata anche la procedura autorizzativa per l’esecuzione degli interventi che non riguardano strettamente la produzione dell’energia, ma l’implementazione della rete.
Il comma 4 dell’articolo in commento stabilisce infatti che, in caso di pluralità di impianti, la realizzazione delle opere necessarie all’immissione e al ritiro dell’energia viene richiesta dai gestori di rete mediante il procedimento di cui al successivo articolo 16, che disciplina appunto l’ipotesi di autorizzazione degli interventi per lo sviluppo delle linee elettriche, stabilendo che l’autorizzazione viene rilasciata dalla Regione “a seguito di un procedimento unico”, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, nel rispetto dei principi e con le modalità previste dalla legge 241/90.
La determinazione di specifiche procedure autorizzative per la “sostituzione” di impianti esistenti (alimentati o meno da fonti rinnovabili) è demandata, infine, ad un successivo decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con quello dell’Ambiente.
Anche in questa ipotesi, comunque, dette procedure debbono essere caratterizzate da “tempistica accelerata” e “adempimenti semplificati”.
Le norme di salvaguardia
Semplificazione ed accelerazione non devono e non possono, però, andare a discapito della tutela dell’ambiente che, anzi, come vedremo è il secondo dei “muri portanti” della nuova struttura normativa in tema di energie rinnovabili (che, in particolare, ho lo scopo di perseguire “la riduzione dell’emissione di gas ad effetto serra”: cfr, infra, TAR Calabria - Catanzaro Sezione 1, Sentenza 12.01.2011, n. 32; vedi anche infra, a proposito dell’intento del Legislatore, comunitario prima e nazionale poi, di promuovere, assieme alle energie c.d. alternative, anche la salvaguardia ambientale).
Ed è, quindi, lo stesso art. 4 che, dopo aver elencato le tre tipologie autorizzative semplificate, si preoccupa al comma 3 di introdurre una sorta di “norma di salvaguardia”, stabilendo che tocca a Regioni e Province Autonome stabilire in quali casi la presentazione di più progetti nella stessa zona “sono da valutare in termini cumulativi nell’ambito della valutazione di impatto ambientale”.
Senza volerci addentrare in una normativa complessa e che certamente esula da questo breve scritto, basterà ricordare come “la ratio sottesa ad una valutazione complessiva degli interventi di ampliamento risiede nel voler evitare che una artificiosa segmentazione degli interventi in distinte e procrastinate progettazione possa compromettere l’efficacia concreta della Direttiva sulla VIA” (TAR Sardegna, Sez. II – 30 marzo 2010, n. 412).
Lo scopo, quindi, è il medesimo: evitare che la presentazione di progetti separati, ma incidenti sulla medesima zona, consenta di ovviare alla procedura di VIA.
Resta, in ogni caso, fermo quanto stabilito nella parte quinta del Dlgs 152/06 (c.d. Codice dell’Ambiente) in tema di “Norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera” e, in particolare, dagli articoli 270 - Individuazione degli impianti e convogliamento delle emissioni [13]; 273 - Grandi impianti di combustione[14]; 282 - Campo di applicazione[15].
Sempre in tema di protezione dell’ambiente, il comma 5 precisa che per gli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti “è fatto salvo quanto disposto dall’art. 182 comma 4 del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152”.
Ciò significa che le ragioni della produzione di energia non prevalgono su quelle della salvaguardia ambientale, in quanto “la realizzazione e la gestione di nuovi impianti possono essere autorizzate solo se il relativo processo di combustione garantisca un elevato livello di recupero energetico”: nel senso che non è sufficiente che l’impianto di incenerimento sia in grado di produrre energia (infatti, ai sensi del Dlgs 133/05, l’impianto di incenerimento non necessariamente produce energia o recupera calore come effetto della combustione del rifiuto), ma è indispensabile che l’eventuale nuovo impianto sia “efficace”, ossia oltre a consentire l’incenerimento del rifiuto ed oltre a produrre energia. l’impianto deve garantire una produzione energetica di “elevato livello”.
Come vedremo anche in seguito, il perseguimento dell’incentivazione all’utilizzo delle fonti alternative di energia è sempre alla ricerca del delicato (e fragile) equilibrio con la tutela del patrimonio ambientale in quanto, se è vero che l’utilizzo delle energie rinnovabili è di per sé stesso un efficace strumento di salvaguardia dell’ambiente, l’installazione degli impianti, soprattutto se di grandi dimensioni, comporta necessariamente uno stravolgimento dell’assetto ambientale e paesaggistico. [16]
* * *
Art. 5 Autorizzazione Unica
1. Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 6 e 7, la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti, nonché le modifiche sostanziali degli impianti stessi, sono soggetti all'autorizzazione unica di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 come modificato dal presente articolo, secondo le modalità procedimentali e le condizioni previste dallo stesso decreto legislativo n. 387 del 2003 e dalle linee guida adottate ai sensi del comma 10 del medesimo articolo 12, nonché dalle relative disposizioni delle Regioni e delle Province autonome.
2. All'articolo 12, comma 4, del decreto legislativo n. 387 del 2003, l'ultimo periodo è sostituito dal seguente: "Fatto salvo il previo espletamento, qualora prevista, della verifica di assoggettabilità sul progetto preliminare, di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, il termine massimo per la conclusione del procedimento unico non può essere superiore a novanta giorni, al netto dei tempi previsti dall'articolo 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale".
3. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati, per ciascuna tipologia di impianto e di fonte, gli interventi di modifica sostanziale degli impianti da assoggettare ad autorizzazione unica, fermo restando il rinnovo dell'autorizzazione unica in caso di modifiche qualificate come sostanziali ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Fino all'emanazione del decreto di cui al periodo precedente non sono considerati sostanziali e sono sottoposti alla disciplina di cui all'articolo 6 gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti, a prescindere dalla potenza nominale, che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell'area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse. Restano ferme, laddove previste, le procedure di verifica di assoggettabilità e valutazione di impatto ambientale di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Per gli impianti a biomassa, bioliquidi e biogas non sono considerati sostanziali i rifacimenti parziali e quelli totali che non modifichino la potenza termica installata e il combustibile rinnovabile utilizzato.
4. Qualora il procedimento di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 sia delegato alle Province, queste ultime trasmettono alle Regioni, secondo modalità stabilite dalle stesse, le informazioni e i dati sulle autorizzazioni rilasciate.
5. Le disposizioni di cui al comma 4 dell'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 come modificato dal comma 2 del presente articolo, si applicano ai procedimenti avviati dopo la data di entrata in vigore del presente decreto.
L’Autorizzazione Unica nell’art. 12, comma 3 del Dlgs 387/03
Il Decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, di attuazione della direttiva 2001/77/Ce inerente la promozione di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili stabilisce, all’art. 12, che gli interventi connessi alla costruzione ed all’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili sono (per definizione, diremmo) “di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti”.
Considerare già dal punto di vista normativo “di pubblica utilità” gli impianti in questione significa caratterizzare sempre e comunque tali interventi come di interesse generale (in quanto “i termini ‘pubblica utilità’, ‘pubblico interesse’ e ‘interesse generale’ sono sostanzialmente equivalenti”[17].
Invero, già la legge 09.01.1991, n. 10 stabiliva, all’art. 1, comma 4, che “L'utilizzazione delle fonti di energia di cui al comma 3 (“sono considerate fonti rinnovabili di energia: il sole, il vento, l'energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici o di prodotti vegetali”, ndr.) è considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità e le opere relative sono equiparate alle opere dichiarate indifferibili e urgenti ai fini dell'applicazione delle leggi sulle opere pubbliche”.
Urgenti ed indifferibili sono i lavori pubblici così dichiarati dall’art. 71 della legge 2359/1865, al fine di consentire l’occupazione d’urgenza che, da strumento sorto per affrontare situazioni eccezionali e di carattere straordinario (emergenze, calamità, opere militari) “diviene istituto di carattere generale e ordinario, con il quale si permette all’espropriante, in un’ottica de facto acceleratoria, di ottenere l’immediata disponibilità delle aree dichiarate di pubblica utilità, prima che venga emanato il provvedimento espropriativo”[18].
Come si vede, il fulcro della norma sta proprio nella volontà di accelerare al massimo e semplificare la procedura di autorizzazione finalizzata a realizzare l’obiettivo di pubblico interesse, introducendo a tal fine un inter specifico e unitario.
È la stessa direttiva comunitaria 2001/77/Ce, peraltro, a stabilire, all’art. 6, par 1, che tutti gli Stati membri si devono impegnare a “ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo alla produzione di elettricità da fondi energetiche rinnovabili”, facendo in modo che le relative procedure amministrative di autorizzazione siano razionalizzata ed accelerate.
Ed è probabilmente questo l’elemento di maggior novità ed interesse della legge.
Si è ritenuto infatti che “la caratteristica di maggior pregio della normativa sopra evidenziata risieda proprio nell’introduzione del procedimento unitario, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, ed al termine del quale viene rilasciato il provvedimento di autorizzazione che costituisce titolo per la costruzione e l’esercizio dell’impianto” [19].
Tale principio si sostanzia nella Autorizzazione Unica disciplinata dal comma 3, secondo cui “La costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi” esulano dalla normale procedura autorizzativa astrattamente applicabile caso per caso, ma “sono soggetti ad una autorizzazione unica”.
Tale provvedimento, che è appunto semplificato, accelerato e unitario viene rilasciato dalla Regione (o dalle Province delegate dalla Regione) e costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico.
Coinvolgendo diverse amministrazioni, l’autorizzazione unica è rilasciata a seguito della convocazione di una Conferenza dei servizi, indetta dalla regione entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione.
Si tratta di conferenza di servizi obbligatoria , per cui “La mancata indizione della conferenza di servizi o la mancata partecipazione di amministrazioni titolari per legge di una competenza primaria, non può che comportare la illegittimità dell'autorizzazione unica in quanto ne risulta frustrata la finalità del legislatore di favorire la composizione degli interessi antagonisti attraverso la predisposizione di una sede unitaria di confronto reputata come la più idonea a superare eventuali ragioni di dissenso o di contrasto” (TAR - MOLISE - Campobasso Sezione 1, Sentenza 08.03.2011, n. 98).[20]
L’autorizzazione, ovviamente, è rilasciata “nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico”.
Da notare come la PA debba attenersi rigidamente non solo alla schema procedimentale previsto dall’Autorizzazione Unica, ma sia tenuta a vigilare affinché vengano comunque realizzati gli obiettivi di semplificazione ed accelerazione perseguiti dalla legge.
Pena il risarcimento del danno.
Lo ha chiarito Tar di Palermo, sez. I (sentenza n. 1478/2009, poi confermata anche in appello), secondo il quale “l’iter accelerato delineato dal summenzionato art. 12 (il quale si caratterizza, in sostanza, per il necessario utilizzo dello strumento della Conferenza di servizi e per la confluenza nella c.d. autorizzazione unica di tutti i titoli richiesti dalla normativa in base al tipo di impianto e alla sua ubicazione sul territorio - vedasi i commi 3 e 4 dell'art. 12)” è obbligo preciso ed indifferibile della Pubblica Amministrazione, proprio perché “gli eventuali dubbi interpretativi di natura tecnica (…) avrebbero dovuto essere risolti proprio nell'ambito della conferenza di servizi, essendo appunto questa una delle finalità dell'istituto disciplinato dagli artt. 14 e ss. della L. n. 241/1990”.
Tanto che eventuali ritardi nella conclusione dell'iter procedurale espongono la PA alla richiesta di risarcimento dei danni derivanti da questo ingiustificato ritardo[21].
Dalla norma traspare chiaramente anche l’intento di promuovere, assieme alle energie c.d. alternative, anche la salvaguardia ambientale, evidente essendo che “L'utilizzazione delle fonti di energia rinnovabile è considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità, e le opere relative sono dichiarate indifferibili ed urgenti (art 12, comma 1, del D.Lgs. 387/2003), anche in considerazione del fatto che la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra attraverso la ricerca, la promozione, lo sviluppo e la maggior utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili e di tecnologie avanzate e compatibili con l'ambiente costituisce un impegno internazionale assunto dall'Italia con la sottoscrizione del cosiddetto "Protocollo di Kyoto" dell'11 dicembre 1997 (ratificato con legge n. 120 del 2002)” (TAR Calabria - Catanzaro Sezione 1, Sentenza 12.01.2011, n. 32; idem TAR Puglia – Bari, Sezione 3, Sentenza 22.04.2009, n. 983; TAR Umbria – Perugia, Sentenza 15.06.2007, n. 518).
Le linee guida (DM Sviluppo economico 10 settembre 2010)
In particolare, il rapporto tra la normativa statale e quella regionale
Sempre l’art. 12 del Dlgs 387/03 stabilisce, al comma 10 che “In Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti. Le regioni adeguano le rispettive discipline entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida. In caso di mancato adeguamento entro il predetto termine, si applicano le linee guida nazionali”.
È solo con Decreto Ministeriale 10 settembre 2010, ossia ben sette anni dopo l’entrata in vigore della legge che le prevedeva, che vengono approvate dal Ministro per lo Sviluppo economico (che nel frattempo ha sostituito il Ministero delle attività produttive) le linee guida.
Tale documento, che è in parte a contenuto normativo ed in parte programmatico, tiene ovviamente conto della necessità di bilanciare le distinte competenze dello Stato e delle Regioni (ovvero delle due Province Autonome) in materia ambientale.[22]
Senza poterci addentrare più di tanto in questa materia, già di per sé molto complessa e controversa, fonte di notevoli contrasti interpretativi e conflitti di competenza, ci limiteremo ad osservare che nell’alveo dell’art. 117 Cost. la legislazione in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” è riservata alla competenza esclusiva dello Stato, mentre la legislazione diretta alla “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” è oggetto di competenza concorrente tra Stato e Regioni, essendo collocata al comma terzo dell’art. 117. La previsione si è prestata a diverse e contrastanti interpretazioni, sino alla pronuncia 26.07.2002, n. 407 della Corte Costituzionale, che ha chiarito che La tutela dell'ambiente non può essere considerata come materia in senso tecnico; l'ambiente è un valore costituzionalmente protetto che sostanzia «una sorta di materia trasversale in ordine alla quale si manifestano competenze diverse che ben possono essere regionali spettando allo Stato le determinazioni che rispondono a esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale».
E, infatti, il primo comma dell’art. 4 stabilisce che lo Stato e le Regioni debbono, secondo il ben noto principio di “leale collaborazione tra Stato e Regioni”.
E’ necessario ricordare che il principio di leale collaborazione a cui fa riferimento il legislatore è espressione del principio costituzionale in base al quale la repubblica, “riconosce e promuove le autonomie locali” e alle cui esigenze “adegua i principi e i metodi della sua legislazione” (art. 5 Cost.) andando al di là del mero riparto costituzionale delle competenze per materia, operando sulle relazioni tra Stato e Regioni senza che assumano rilievo le distinzioni tra competenze legislative esclusive ripartite e integrate o fra competenze amministrative proprie e delegate.[23]
Inoltre è importante considerare che affinché sia rispettato il principio di leale collaborazione tra Stato e Regione debbono concorrere due presupposti: da un lato la Regione deve essere posta nella condizione di poter esprimere un parere disponendo pertanto di tutti gli elementi di valutazione necessari, dall’altro l’eventuale decisione statale difforme deve essere adeguatamente motivata, il mancato rispetto di queste condizioni costituisce violazione del principio cooperativo.[24]
La questione si è, ovviamente, riproposta in maniera molto seria proprio in relazione all’attività di produzione di energie alternative, in quanto come già detto assume un ruolo centrale, nella programmazione regionale, il contemperamento delle esigenze di tutela ambientale (intesa nel senso più lato, comprensivo anche degli aspetti paesaggistici e storico-culturali del territorio) e di agevolazione della produzione di energia da fonti rinnovabili.[25]
Nel determinare i “Principi generali inerenti l'attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili”, stabilisce, pertanto il DM 10.9.10 al paragrafo 1.2. che “Le sole Regioni e le Province autonome possono porre limitazioni e divieti in atti di tipo programmatorio o pianificatorio per l'installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati a fonti rinnovabili ed esclusivamente nell'ambito e con le modalità di cui al paragrafo 17”.[26]
Tale norma prevede che “le Regioni e le Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti”.
L'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni a seguito di una specifica istruttoria, di cui la norma detta le caratteristiche essenziali, stabilendo che essa deve avere necessariamente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela:
- dell'ambiente,
- del paesaggio,
- del patrimonio storico e artistico,
- delle tradizioni agroalimentari locali,
- della biodiversità
- del paesaggio rurale
“che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione”.
Gli interventi delle Regioni e delle Provincia Autonome hanno, pertanto, comportato l’adozione, attraverso gli strumenti “normativi” più diversi (dalla delibera di Giunta alla legge regionale vera e propria) di divieti di costruzione di impianti di produzione di energie alternative in aree specifiche, con particolare riferimento a quelli più “impattanti” a livello ambientale e paesaggistico, quali il fotovoltaico e l’eolico.
Può trattarsi, caso per caso, di aree interessate da vincoli paesaggistico-ambientali o storico-artistici, ovvero nelle aree agricole con particolari caratteristiche (perché, ad esempio, zone ade elevata capacità d'uso dei suoli o destinate alla produzione di prodotti Docg e Doc), fermo restando il principio per cui è vietato individuare come genericamente “non idonee” porzioni di territorio significative.
Alcune Regioni hanno introdotto particolari disposizioni procedurali integrative delle norme nazionali, stabilendo ulteriori accorgimenti ed attenzioni (limitatamente agli impianti idroelettrici ha così provveduto anche la Regione Veneto, con Delibera Gr 30 dicembre 2010, n. 3493, denominata: Norme procedurali per impianti idroelettrici).[27]
L’aspetto che più ha attirato l’attenzione del legislatore regionale è stato quello del fotovoltaico a terra, spesso su sollecitazione delle associazioni di categoria, preoccupate per la progressiva diffusione di tali impianti su grandi aree, a discapito delle tradizionali coltivazioni agricole: la Regione Veneto, in particolare, con un emendamento alla legge finanziaria regionale per il 2011 (L. R. 7/11, art. 4) ha deciso di bloccare temporaneamente l’installazione di nuovi impianti di grandi dimensioni (impianti fotovoltaici superiori a 200 km di picco ed impianti a biomassa, biogas e bioliquidi di grandi dimensioni). Il divieto, per il momento, è valido sino al 31 dicembre 2011, ma contro la norma il Governo ha annunciato l’impugnazione avanti alla Corte Costituzionale già nel mese di maggio 2011, ravvisando la violazione dell’art. 117 Cost.
In ogni caso, la Giurisprudenza amministrativa ha sottolineato come la potestà degli Enti Locali di limitare gli spazi utilizzabili per l’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, trovi un limite invalicabile nel necessario contemperamento tra la tutela del paesaggio e quella della incentivazione di tali fonti, non potendo la prima porsi come ostacolo invalicabile alla realizzazione della seconda. [28]
E, invero, “un blocco generalizzato nel settore eolico si pone in stridente contrasto con lo spirito di favor per gli impianti di tale tipologia che traspare, da un lato, dalla direttiva 2001/77/CE cui il d.lgs. 387/2003 ha dato attuazione e, dall'altro, dagli accordi internazionali (così, il Protocollo di Kyoto) tesi alla valorizzazione e incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili” (TAR - SARDEGNA - Cagliari Sezione 1, Sentenza 14.01.2011, n. 37 [29]).
Vi sono stati, peraltro, anche interventi di segno opposto, in cui la Regione ha in qualche modo “allargato le maglie”, rendendo ad esempio più ampio il ricorso alla procedura semplificata in luogo della prevista Autorizzazione Unica, incorrendo così nella censura costituzionale per “violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., avendo la legge regionale violato i principi della legge statale, nella materia "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia", di competenza concorrente” (Corte Costituzionale, Sentenza 01.04.2011, n. 107). [30]
Al di là dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni, il decreto ministeriale 10 settembre 2010 ha il merito di definire una volta per tutte:
- regole comuni a tutte le regioni;
- nel dettaglio, regole per l'iter denominato "autorizzazione unica" riservato agli impianti sopra le soglie di taglia previste dalla D.Lgs. n. 387/2003;
- l'iter semplificato nei casi di impianti più piccoli (per cui basta la semplice D.I.A.).
In particolare, i paragrafi 10, 11 e 12, come già accennato, dettano secondo un criterio di proporzionalità, le tre diverse possibili procedure percorribili per ottenere l’autorizzazione alla costruzione, modifica o esercizio di impianti di produzione di energia da fonti alternative. [31]
Avremo quindi, nell’ordine:
- interventi ad impatto limitato e di dimensioni contenute, generalmente integrati negli edifici esistenti, in grado di produrre energia in quantità limitata, definiti di “attività edilizia libera” (paragrafi 11 e 12 delle linee guida art. 7 del Dlgs n. 28/11);
- interventi ad impatto maggiore ma con capacità di produzione di energia non superiore a determinate soglie, soggetti a Denuncia di Inizio Attività (paragrafi 11 e 12 delle linee guida art. 6 del Dlgs n. 28/11);
- interventi di costruzione, esercizio e modifica di impianti di produzione di energia elettrice alimentati da fonti rinnovabili, nonché delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili, diversi da quelli di cui ai punti precedenti, soggetti a Autorizzazione unica (paragrafo 10 delle linee guida e art. 5 del Dlgs n. 28/11)
Tale ultima ipotesi è considerata quella generale, applicabile in linea di principio a tutti gli interventi volti a realizzare impianti ed energia alternativa, per cui viene esaminata per prima, sia dalle linee guida che dal Dlgs n. 28/11.
L’Autorizzazione Unica nell’art. 5 del Dlgs 28/11
Come detto, in linea generale a tutti gli interventi collegati alla realizzazione di impianti ad energia alternativa ed alle opere connesse ed infrastrutturali relative, è applicabile il procedimenti di Autorizzazione Unica di cui all’art. 12 del Dlgs n. 387/03, come modificato dallo stesso art. 5 del decreto in commento, in base alle già citate linee guida. [32]
Fra gli interventi soggetti all'autorizzazione unica vengono annoverate anche le modifiche «sostanziali» degli impianti stessi.
Da notare che nelle linee guida (paragrafi 10.1 e 10.4) si parlava di interventi genericamente definiti di «modifica» degli impianti, mentre il Dlgs 28/11 sembra limitare ulteriormente la necessità di ricorrente alla procedura per Autorizzazione Unica, facendo riferimento solamente modifiche più rilevanti, nel senso che tutte le altre modifiche, che lascino inalterata la struttura di base originaria e si limitino ad introdurre miglioramenti, adeguamenti e presumibilmente anche contenuti ampliamenti, potranno essere realizzate ricorrendo ad una delle altre due procedure semplificate.
Il secondo comma introduce una modifica alla previgente formulazione dell’art. 12, comma 4, del dlgs n. 387/03, stabilendo che, per i procedimenti avviati dopo l'entrata in vigore del decreto, il termine di conclusione del procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica è ridotto dagli originari 180 giorni a un termine di 90 giorni, con la previsione, però, che tale termine deve essere calcolato “al netto dei tempi previsti per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale”.[33]
Secondo alcuni primi commenti, tale esclusione dal computo totale del termine per la conclusione del procedimento comporterebbe la necessità di effettuare la verifica di assoggettabilità sul progetto preliminare prima di poter presentare la domanda di autorizzazione unica. Si è sostenuto, per contro, che una simile conclusione risulta in contrasto con il punto 14.13 delle Linee guida, secondo il quale «gli esiti delle procedure di verifica di assoggettabilità (...) confluiscono nella conferenza dei servizi» e anche con la ratio stessa del procedimento unificato, volto a far confluire tutte le procedure in un unico modulo procedimentale. [34]
Da notare come sia stato censurato in quanto illegittimo “il silenzio serbato dalla competente Amministrazione sulla istanza di autorizzazione unica alla realizzazione e all'esercizio di un impianto fotovoltaico ex art. 12, D.Lgs. n. 387 del 2003, in quanto inquadrabile nella fattispecie del silenzio inadempimento” (TAR Sicilia – Palermo Sezione 2, Sentenza 23.03.2011, n. 523). [35]
Il terzo comma rimanda ad un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata l’individuazione “per ciascuna tipologia di impianto e di fonte” degli interventi di “modifica sostanziale degli impianti” da assoggettare ad autorizzazione unica”, fermo restando il rinnovo dell'autorizzazione unica in caso di modifiche qualificate come sostanziali ai sensi del Codice dell’Ambiente.
Il legislatore utilizza, anche in questo caso, lo strumento della Conferenza Stato-Regioni, confermandone il ruolo insostituibile ed irretrattabile ad essa ormai riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale quale strumento di raccordo tra Stato e Regioni essenziale per realizzare quella cooperazione che trova il proprio fondamento nell’art. 5 della Costituzione[36].
In attesa dell’emanazione del citato decreto ministeriale, il comma 3 precisa in via «transitoria» quali sono le modifiche degli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici che non sono soggette ad autorizzazione unica (“non sono considerati sostanziali e sono sottoposti alla disciplina di cui all'articolo 6”), utilizzando un criterio basato sulle caratteristiche «fisiche» (si tratta, infatti, di interventi che non comportano variazioni delle “dimensioni” degli apparecchi, della “volumetria” delle strutture o delle aree ove sono collocati gli impianti medesimi) e non di potenza («a prescindere dalla potenza nominale») degli impianti.
Il tutto senza interferire con le procedure di verifica di assoggettabilità e VIA, se e quando previste.[37]
Si torna, invece, al classico riferimento alla potenza per gli impianti a biomassa, bioliquidi e biogas rispetto ai quali è previsto che non comportano «modifiche sostanziali» i rifacimenti parziali o quelli totali che non modifichino la potenza e il combustibile, senza alcun riferimento qui agli elementi dimensionali.
Il quarto comma stabilisce che qualora il rilascio dell’autorizzazione unica sia delegato dalla Regione alle Province, queste sono comunque tenute a trasmettere alle Regioni informazioni e dati sulle autorizzazioni rilasciate.
L’efficacia temporale della norma è definita dall’ultimo comma secondo il principio tempus regit actum, nel senso che le modifiche alla procedura per rilascio di Autorizzazione Unica si applicano ai procedimenti iniziati dopo l’entrata in vigore del decreto. [38]
* * *
Art. 6 Procedura abilitativa semplificata e comunicazione per gli impianti alimentati da energia rinnovabile
1. Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa sull'energia elettrica, per l'attività di costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida, adottate ai sensi dell'articolo 12, comma 10 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 si applica la procedura abilitativa semplificata di cui ai commi seguenti.
2. Il proprietario dell'immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall'impianto e dalle opere connesse presenta al Comune, mediante mezzo cartaceo o in via telematica, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, una dichiarazione accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che attesti la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienicosanitarie. Alla dichiarazione sono allegati gli elaborati tecnici per la connessione redatti dal gestore della rete. Nel caso in cui siano richiesti atti di assenso nelle materie di cui al comma 4 dell'articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e tali atti non siano allegati alla dichiarazione, devono essere allegati gli elaborati tecnici richiesti dalle norme di settore e si applica il comma 5.
3. Per la procedura abilitativa semplificata si applica, previa deliberazione del Comune e fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti regionali di cui al comma 9, quanto previsto dal comma 10, lettera c), e dal comma 11 dell'articolo 10 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68.
4. Il Comune, ove entro il termine indicato al comma 2 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite al medesimo comma, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza; è comunque salva la facoltà di ripresentare la dichiarazione, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia. Se il Comune non procede ai sensi del periodo precedente, decorso il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione di cui comma 2, l'attività di costruzione deve ritenersi assentita.
5. Qualora siano necessari atti di assenso, di cui all'ultimo periodo del comma 2, che rientrino nella competenza comunale e non siano allegati alla dichiarazione, il Comune provvede a renderli tempestivamente e, in ogni caso, entro il termine per la conclusione del relativo procedimento fissato ai sensi dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. Se gli atti di assenso non sono resi entro il termine di cui al periodo precedente, l'interessato può adire i rimedi di tutela di cui all'articolo 117 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Qualora l'attività di costruzione e di esercizio degli impianti di cui al comma 1 sia sottoposta ad atti di assenso di competenza di amministrazioni diverse da quella comunale, e tali atti non siano allegati alla dichiarazione, l'amministrazione comunale provvede ad acquisirli d'ufficio ovvero convoca, entro venti giorni dalla presentazione della dichiarazione, una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni. Il termine di trenta giorni di cui al comma 2 è sospeso fino alla acquisizione degli atti di assenso ovvero fino all'adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento ai sensi dell'articolo 14-ter, comma 6 -bis, o all'esercizio del potere sostitutivo ai sensi dell'articolo 14-quater, comma 3, della medesima legge 7 agosto 1990, n. 241.
6. La realizzazione dell'intervento deve essere completata entro tre anni dal perfezionamento della procedura abilitativa semplificata ai sensi dei commi 4 o 5. La realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è subordinata a nuova dichiarazione. L'interessato è comunque tenuto a comunicare al Comune la data di ultimazione dei lavori.
7. La sussistenza del titolo è provata con la copia della dichiarazione da cui risulta la data di ricevimento della dichiarazione stessa, l'elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l'attestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessari.
8. Ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale, che deve essere trasmesso al Comune, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la dichiarazione, nonché ricevuta dell'avvenuta presentazione della variazione catastale conseguente alle opere realizzate ovvero dichiarazione che le stesse non hanno comportato modificazioni del classamento catastale.
9. Le Regioni e le Province autonome possono estendere la soglia di applicazione della procedura di cui al comma 1 agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico, definendo altresì i casi in cui, essendo previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l'esercizio dell'impianto e delle opere connesse sono assoggettate all'autorizzazione unica di cui all'articolo 5. Le Regioni e le Province autonome stabiliscono altresì le modalità e gli strumenti con i quali i Comuni trasmettono alle stesse Regioni e Province autonome le informazioni sui titoli abilitativi rilasciati, anche per le finalità di cui all'articolo 16, comma 2. Con le medesime modalità di cui al presente comma, le Regioni e le Province autonome prevedono la corresponsione ai Comuni di oneri istruttori commisurati alla potenza dell'impianto.
10. I procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo sono regolati dalla previgente disciplina, ferma restando per il proponente la possibilità di optare per la procedura semplificata di cui al presente articolo.
11. La comunicazione relativa alle attività in edilizia libera, di cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida adottate ai sensi dell'articolo 12, comma 10 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 continua ad applicarsi, alle stesse condizioni e modalità, agli impianti ivi previsti. Le Regioni e le Province autonome possono estendere il regime della comunicazione di cui al precedente periodo ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche.
La seconda tipologia autorizzativa prevista dal Dlgs 28/11 è la Procedura abilitativa semplificata.
Stabilisce il primo comma dell’art. 6 che per la costruzione e l’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili individuati ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida trova applicazione questo nuovo strumento (PAS), caratterizzato dall’iniziativa del privato che si sostanzia in una semplice comunicazione, cui deve però essere allegata una relazione tecnica completa e dettagliata.
La non semplice lettura della norma, che rimanda per quanto attiene all’individuazione degli interventi regolati dalla presente procedura ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida, consente comunque di ritenere che siano assoggettati alla presentazione di comunicazione con relazione asseverata gli impianti di cui ai punti 12.3, lettera b) (biomasse, gas di discarica, gas residuati e biogas), nonché al punto 12.7, lettera a) (idroelettrico e geotermoelettrico) delle Linee guida. [39]
A queste ipotesi devono aggiungersi quelle stabilite dall'articolo 7, Dlgs 28/2011.
La procedura prevede, a comma 2, che il proprietario dell’immobile o chi comunque abbia la disponibilità dello stesso, presenti al Comune almeno trenta giorni prima della data prevista per l’inizio dei lavori, una “comunicazione”, che può essere rappresentata dalla classica pratica cartacea o dal più moderno e digitale fascicolo digitale, da trasmettersi per via telematica.
La comunicazione deve contenere:
- una dichiarazione che attesti che attesti
· la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanisitici approvati
· la compatibilità coi regolamenti edilizi vigenti,
· la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati,
· il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.
- una dettagliata relazione corredata dagli opportuni elaborati progettuali a conferma di tutto questo.
Nel caso in cui siano richiesti atti di assenso nelle materie di cui all’art. 20, comma, 4, della legge n. 241/90 (ossia: il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità) devono essere allegati anche gli elaborati tecnici previsti dalle specifiche norme di settore.
Se la competenza per tali atti di assenso sia del Comune destinatario della comunicazione, il comma 5 stabilisce che spetta al Comune “renderli tempestivamente” e comunque entro il termine di trenta giorni di cui all’art. 2 della legge n. 241/90.
Il Comune, ricevuta la comunicazione ed i relativi allegati, può adottare tre diversi comportamenti:
a) non emettere alcun provvedimento, per cui decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della comunicazione, l’attività di costruzione “deve ritenersi assentita”;
b) notificare al richiedente l’ordine motivato di non effettuare l’intervento per assenza di una delle condizioni previste dalla legge;
c) qualora siano necessari atti di assenso da parte di altre amministrazioni e tali atti non siano stati allegati alla comunicazione da parte dell’interessato, il Comune “provvede ad acquisirli d'ufficio ovvero convoca, entro venti giorni dalla presentazione della dichiarazione, una conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14 e segg. della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni”.
In questo caso il termine di trenta giorni relativo al silenzio assenso sarà sospeso fino all'acquisizione degli atti di assenso “ovvero fino all'adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento ai sensi dell'art. 14-ter, comma 6-bis, o all'esercizio del potere sostitutivo ai sensi dell'articolo 14-quater, comma 3, della medesima legge 7 agosto 1990, n. 241”.
I lavori per la realizzazione dell’impianto alimentato da fonti rinnovabili dovranno essere ultimati, ai sensi del comma 6, entro e non oltre tre anni dal perfezionamento della procedura abilitativa semplificata (ciò a conferma della disciplina applicata precedentemente all'entrata in vigore del decreto). Nell'ipotesi in cui una parte dei lavori non venga ultimata entro il predetto termine, la realizzazione della parte di opera non ancora ultimata sarà subordinata alla presentazione di una nuova dichiarazione.
Non manca la previsione “buracratica” attestante che “La sussistenza del titolo è provata con:
- la copia della dichiarazione da cui risulta la data di ricevimento della dichiarazione stessa,
- l'elenco di quanto presentato a corredo del progetto,
- l'attestazione del professionista abilitato,
- gli atti di assenso eventualmente necessari” (comma 7) [40].
In base al comma 8, infine, spetta al progettista od altro tecnico abilitato certificare la conformità delle opere realizzate al progetto presentato, in sede di sottoscrizione del certificato di collaudo finale. Detto certificato dovrà anche attestare “l'avvenuta presentazione della variazione catastale conseguente alle opere realizzate ovvero dichiarazione che le stesse non hanno comportato modificazioni del classamento catastale”.
Tale previsione si colloca nell’alveo dell’auspicato “allineamento catastale”, volto a realizzare l’accertamento della “conformità oggettiva” tra dati catastali, planimetria e stato di fatto degli immobili, nonché della “conformità soggettiva” tra intestazione catastale e risultanze dei registri immobiliari (cfr. art. 19, comma 14, DL 31.5.10, n. 78, convertito nella legge n. 122 del 30.7.10).
In ordine all’efficacia temporale della norma, il comma 10 si discosta dal principio tempus regit actum espressamente previsto per la procedura di Autorizzazione Unica, stabilendo che, pur essendo i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto regolati dalla previgente disciplina, al proponente è riconosciuta la possibilità di optare per la procedura semplificata (di cui appunto all’articolo 6).
Si prevede, infine, una particolare facoltà in capo a Regioni e Province Autonome, in forza della quale queste “possono estendere la soglia di applicazione della procedura di cui al comma 1 agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico”.
Inoltre, le medesime amministrazioni possono stabilire i casi in cui, essendo previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l'esercizio dell'impianto e delle opere connesse vengono assoggettate all'Autorizzazione Unica di cui all'articolo 5, sottraendoli così alla disciplina della procedura semplificata.
Le Regioni e le Province autonome stabiliscono altresì le modalità e gli strumenti con i quali i Comuni trasmettono alle stesse Regioni e Province autonome le informazioni sui titoli abilitativi rilasciati, anche per le finalità di cui all'articolo 16, comma 2. Con le medesime modalità, le Regioni e le Province autonome prevedono la corresponsione ai Comuni di oneri istruttori commisurati alla potenza dell'impianto.
* * *
Art. 7 Regimi di autorizzazione per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili
1. Gli interventi di installazione di impianti solari termici sono considerati attività ad edilizia libera e sono realizzati, ai sensi dell'articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115, previa comunicazione, anche per via telematica, dell'inizio dei lavori da parte dell'interessato all'amministrazione comunale, qualora ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:
a) siano installati impianti aderenti o integrati nei tetti di edifici esistenti con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi;
b) la superficie dell'impianto non sia superiore a quella del tetto su cui viene realizzato;
c) gli interventi non ricadano nel campo di applicazione del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni.
2. Ai sensi dell'articolo 6, comma 2, lettera a), e dell'articolo 123, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, gli interventi di installazione di impianti solari termici sono realizzati previa comunicazione secondo le modalità di cui al medesimo articolo 6, qualora ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:
a) gli impianti siano realizzati su edifici esistenti o su loro pertinenze, ivi inclusi i rivestimenti delle pareti verticali esterne agli edifici;
b) gli impianti siano realizzati al di fuori della zona A), di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444.
3. All'articolo 6, comma 2, lettera d), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, sono soppresse le parole: "e termici, senza serbatoio di accumulo esterno".
4. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabilite le prescrizioni per la posa in opera degli impianti di produzione di calore da risorsa geotermica, ovvero sonde geotermiche, destinati al riscaldamento e alla climatizzazione di edifici, e sono individuati i casi in cui si applica la procedura abilitativa semplificata di cui all'articolo 6.
5. Ai sensi dell'articolo 6, comma 2, lettera a), e dell'articolo 123, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 gli interventi di installazione di impianti di produzione di energia termica da fonti rinnovabili diversi da quelli di cui ai commi da 1 a 4, realizzati negli edifici esistenti e negli spazi liberi privati annessi e destinati unicamente alla produzione di acqua calda e di aria per l'utilizzo nei medesimi edifici, sono soggetti alla previa comunicazione secondo le modalità di cui al medesimo articolo 6.
6. I procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto sono regolati dalla previgente disciplina, ferma restando per il proponente la possibilità di optare per la procedura semplificata di cui al presente articolo.
7. L'installazione di pompe di calore da parte di installatori qualificati, destinate unicamente alla produzione di acqua calda e di aria negli edifici esistenti e negli spazi liberi privati annessi, è considerata estensione dell'impianto idrico-sanitario già in opera.
L’art. 7 del Dlgs 28/11 disciplina gli interventi volti all’installazione di impianti per la produzione di energia termica ed è quello che maggiormente coinvolge i Comuni[41].
I commi 1, 2 e 3 sono dedicati al solare termico (da non confondersi col fotovoltaico [42]).
La norma distingue preliminarmente due ipotesi:
- comma 1: interventi realizzabili a fronte di semplice comunicazione dell’interessato al Comune, senza necessità di relazione tecnica allegata e, quindi, con notevole snellimento della procedura e riduzione dei costi di istruttoria (attività ad edilizia libera, ai sensi dell'articolo 11, comma 3, del Dlgs 115/2008);
- interventi che richiedono la presentazione, unitamente alla comunicazione, di una relazione tecnica redatta da tecnico abilitato, ex art. 6, comma 4, Dpr n. 380/01 [43].
Il comma 1 rimanda all'articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115 (“Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE”) secondo il quale gli interventi di installazione di “impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi, sono considerati interventi di manutenzione ordinaria e non sono soggetti alla disciplina della denuncia di inizio attività”.
Andrà precisato che si può ricorrere alla disciplina "semplificata" della semplice comunicazione, solo in presenza delle condizioni indicate dalla norma, ossia:
- gli impianti devono essere aderenti o integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda;
- i componenti non devono modificare la sagoma degli edifici stessi;
- la superficie dell'impianto non deve essere superiore a quella del tetto.
Da notare l’esclusione della procedura semplificata per gli interventi che ricadano nel campo di applicazione del codice dei beni culturali e del paesaggio, attesa la necessità di maggior tutela e garanzia sentita per tali ambiti.
Il comma 2 rimanda, poi, all’art. 6 del Dpr n. 380/01, così parificando, quanto all’iter procedurale autorizzativo, gli interventi di installazione di impianti solari termici alla semplice manutenzione ordinaria degli edifici, ferma restando, come detto, la necessità di allegare la relazione tecnica.
Si tratta degli impianti:
- realizzati su edifici esistenti o su loro pertinenze, ivi inclusi i rivestimenti delle pareti verticali esterne agli edifici;
- realizzati al di fuori della zona A), di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 ( in sostanza, i centri storici [44])
Le due circostanze devono sussistere congiuntamente.
Il comma 3 estende la procedura a tutti gli impianti per la produzione di energia solare termica, eliminando l'esclusione di quelli con serbatoio esterno (in precedenza prevista dal Testo unico edilizia, Dpr n. 380/01).
Dell’energia geotermica si occupa, invece, il comma 4, rinviando quanto alle prescrizioni per la posa in opera degli impianti di produzione di calore da risorsa geotermica destinati al riscaldamento e alla climatizzazione di edifici ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza unificata.
Sempre a tale decreto attuativo à demandata l’individuazione dei casi cui applicare la procedura abilitativa semplificata di cui all'articolo 6.
Anche l’installazione di impianti di produzione di energia termica diversi da quelli di cui ai commi precedenti è considerata attività ad edilizia libera, a condizione che
- siano realizzati “negli edifici esistenti e negli spazi liberi privati annessi” e
- siano destinati unicamente alla produzione di acqua calda e di aria da utilizzare sul posto.
Precisa, infine, il comma 7 che l’installazione di pompe di calore da parte di installatori qualificati[45], destinate unicamente alla produzione di acqua calda e di aria negli edifici esistenti e negli spazi liberi privati annessi, è considerata estensione dell'impianto idrico-sanitario già in opera. Si tratta di un’inutile ripetizione di quanto già previsto dal comma 1 dell’art. 123 del Dpr n. 380/01, peraltro espressamente richiamato al precedente comma 5. [46]
In base al comma 11 dell’art. 6 le Regioni e le Province autonome possono estendere il regime della comunicazione di cui al precedente periodo ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche.
In ordine all’efficacia temporale della norma, anche l’art. 7 introduce un favor per la nuova procedura, stabilendo che la nuova disciplina è applicabile, a scelta del richiedente, anche per procedimenti già pendenti al momento dell'entrata in vigore.
* * *
[1] Già nel 2007 la Commissione europea aveva evidenziato negli “Orientamenti integrativi per la crescita e l'occupazione (2008-2010)” la fondamentale importanza di ridurre il peso della burocrazia sulle imprese, rilevando come attraverso la sola semplificazione delle procedure sia possibile un risparmio dei costi amministrativi del 25% che dovrebbe far crescere il Pil dell'1,5%, ossia una cifra prossima ai 150 miliardi di euro.
[2] Per l’evoluzione storico-giuridica del concetto di autorizzazione, vedasi: O. Ranelletti, Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative, Roma – Firenza, F.lli Bocca Editori, 1894. A.M. Sandulli, Notazioni in tema di provvedimenti autorizzativi, in Riv. Trim. Diritto Pubblico, 1957, p- 784 e ss., che distingue tra le attività riservate alla P.A., le attività esercitate dai privati e subordinate ad un interesse pubblico, le attività svolte da privati cui l’ordinamento si limita a porre cautele a salvaguardia degli interessi collettivi (queste ultime due interessate appunto dall’autorizzazione). M.S. Giannini, Diritto Amministrativo, Milano, Giuffrè, 1993, vol. II, pag. 614, che introduce la distinzione tra procedimenti autorizzatori in funzione di controllo e procedimenti autorizzatori in funzione di programmazione. E. Casetta, Diritto Amministrativo, Milano, Giuffrè, 1999, pag. 305 e R. Villata, Autorizzazioni amministrative ed iniziativa economica privata, Milano, Giuffrè, 1974, che nel trattare delle autorizzazioni con effetto costitutivo, non accettano più che il discrimine tra i due istituti sia identificato nell’effetto degli stessi, ossia nella creazione di un diritto prima assente nella sfera giuridica del destinatario.
[3] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, 2010, pag. 345.
[4] Possiamo definire le Politiche ambientali come “l’insieme degli interventi posti in essere da autorità pubbliche e da soggetti privati al fine di disciplinare quelle attività umane che riducono la disponibilità di risolse naturali oppure ne peggiorano la qualità e la fruibilità” (R. Lewanski, Governare l’ambiente, il Mulino, Boloagna, 1997, pag. 34).
[5] “Le misure economiche promettono maggiore flessibilità, efficienza e efficacia, in quanto capaci di ovviare ai principiale inconvenienti delle norme comando e controllo”: L. Pellizzoni G. Osti, Sociologia dell’ambiente, Il Mulino, Bologna, 2008, pag. 260. L’approccio “economico”, quindi, è radicalmente diverso da quello tradizionale, scolpito nel principio “chi inquina paga”.
[6] “Uno dei punti significativi della manovra economica straordinaria, a opera della legge n. 122/2010, è il recupero della competitività dell'economia italiana attraverso uno snellimento degli iter burocratici per la costituzione delle imprese”: M. Gallo, Profili applicativi e criticità su SCIA e riforma dello SUAP, Il Sole 24 Ore - Ambiente & Sicurezza, Ed. n. 22 del 23 novembre 2010, pag. 14.
[7] Cfr. Nuove regole per l'energia, C. Chierchia, Il Sole 24 Ore - Diritto e Pratica Amministrativa, Edizione n. 10 del 1 ottobre 2010, pag. 14: “Con una recente circolare del ministero della Semplificazione (nota 16 settembre 2010, n. 1340, indirizzata alla Regione Lombardia, ndr), lo strumento della SCIA è stato ritenuto applicabile alla materia delle costruzioni (in particolare, gli articoli 22 e seguenti del Dpr 380/2001 ammettevano il ricorso alla DIA per determinate categorie di interventi). A oggi non vi sono espresse pronunce sull'applicazione dello stesso al settore delle energie rinnovabili, ma in linea di prima interpretazione non si ravvedono difficoltà nel ritenerlo applicabile in virtù del richiamo operato dal decreto legislativo 387/2003 agli strumenti autorizzativi di cui al Dpr 380/2001”.
[8] Sia per scarsa fiducia nei confronti del cittadino-utente, sia per evitare che un’eccessiva semplificazione “rechi con sé una deprecabile deresponsabilizzazione dell’amministrazione e dei suoi agenti”: R. Garofoli, Semplificazione e liberalizzazione dell’attività amministrativa nel contesto del riformismo amministrativo italiano degli ultimi decenni, in www.giustizia-amminstrativa.it, gennaio 2010.
Il tutto, invero, essendo ormai appurato che l’autorizzazione amministrativa è storicamente inscindibile dal rapporto tra iniziativa economica privata e controllo pubblico della medesima: F. Fracchia, Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche soggettive, Napoli, Jovene, 1996, p. 2.
[9] “Uno degli aspetti più controversi della Dia è sempre stato, oltre che quello della sua natura giuridica, l'avvio immediato dell'attività che potrebbe compromettere interessi pubblici rilevanti. Non a caso esso è stato escluso dal Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001)”: M. Clarich, Scia, il Ministero ribadisce l'applicazione all'edilizia Ma restano i dubbi sull'utilità, Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio, Ed. n. 37 del 27 settembre 2010, pag. 6.
[10] B. Caruso, La denuncia di inizio attività dopo i recenti interventi legislativi, Il Sole 24 Ore - Ventiquattrore Avvocato
Edizione n. 10 del 1 ottobre 2010, pag. 82.
[11] Cfr. O. Florenza, La denuncia di inizio di attività in edilizia: problemi sostanziali e processuali, Il Sole 24 Ore - Il Merito, Ed. n. 1 del 1 gennaio 2005, pag. 96: “L'attuale disciplina normativa della D.I.A. distingue l'istituto, così rendendolo un unicum a sé stante, sia dalla denuncia di inizio di attività, di cui all'art. 19 della l. n. 241/1990, sia dall'istituto del silenzio-assenso, disciplinato dall'art. 20 della medesima legge”.
[12] A. Corrado, Esclusa la diretta impugnabilità di SCIA e DIA, Guida al Diritto, n. 35 del 3 settembre 2011, pag. 41.
[13] Cfr in particolare il comma 4: “Se più impianti con caratteristiche tecniche e costruttive simili, aventi emissioni con caratteristiche chimico-fisiche omogenee e localizzati nello stesso stabilimento sono destinati a specifiche attività tra loro identiche, l'autorità competente. Tenendo conto delle condizioni tecniche ed economiche, può considerare gli stessi come un unico impianto”.
[14] Cfr. in particolare il comma 9: “Se più impianti di combustione, anche di potenza termica nominale inferiore a 50 MW, sono localizzati nello stesso stabilimento l'autorità competente deve, in qualsiasi caso, considerare tali impianti come un unico impianto ai fini della determinazione della potenza termica nominale in base alla quale stabilire i valori limite di emissione”.
[15] Cfr. in particolare il comma 2: “Un impianto termico civile avente potenza termica nominale uguale o superiore a 3 MW si considera in qualsiasi caso come un unico impianto ai fini dell'applicazione delle disposizioni del titolo I”.
[16] Cfr. TAR Toscana, Firenze, Sez. 2, Sent. 7.4.11, n. 629, secondo cui “l’art. 12 del Dlgs n. 387/2003, nel dettare la disciplina del procedimento autorizzatorio per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, da un lato riconosce a detti impianti carattere di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza (co. 1 ) e conferisce all'autorità procedente - la Regione, ovvero la Provincia da questa delegata - il potere di rilasciare l'autorizzazione in variante agli strumenti urbanistici vigenti (co. 3); ma, per altro verso, non trascura di garantire il corretto inserimento degli impianti nell'ambiente, rimettendo a linee-guida da adottarsi in Conferenza unificata l'approvazione dei criteri in applicazione dei quali consentire alle Regioni di indicare di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti (cfr., fra le altre, Corte Cost. 26 marzo 2010, n. 119; 6 novembre 2009, n. 282; 29 maggio 2009, n. 166)”. Vedi anche TAR Molise – Campobasso, Sez. 1, Sent. 8.3.11, n. 99, secondo cui “La costruzione e l’esercizio di impianti da fonti rinnovabili - soggetta ad autorizzazione unica regionale - deve rispettare le normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, a tenore dell'art. 12 comma terzo del D.Lgs. 29 dicembre 2003 n. 387 (cfr.: Corte Cost., 26.3.2010 n. 119). Mentre la tutela costituzionale del paesaggio e dei beni culturali è infatti incondizionata e assoluta, la garanzia della libertà economica è subordinata alla sua "funzione sociale", rientrando nella generale accezione della funzionalizzazione anche la salvaguardia delle bellezze naturali, del patrimonio pubblico e dei beni destinati alla fruizione collettiva. (Cons. Stato V, 12.6.2009 n. 3770; Corte Cost. 22.5.2009 n. 162). Ciò, tuttavia, non comporta che non debba tenersi conto l'utilità economica delle opere progettate, secondo quanto previsto dall’art. 152 del Dlgs 22. Gennaio 2004, n. 42”
[17] G.M. di Lieto, Opere pubbliche, opere private di pubblica utilità, in www.giustizia-amministrativa.it.
[18] L’ordinamento degli enti locali, F. Caringella, A. Giuncato, F. Romano, Ipsoa, 2007, pag. 762.
[19] M. Cancellaro, 16.9.10, Le fonti rinnovabili nell’evoluzione normativa e giurisprudenziale: problematiche e soluzioni giuridiche, in “Filodiritto” (http://www.filodiritto.com).
[20] Cfr. anche, citate in sentenza, T.A.R. Sicilia Palermo, I, 2 febbraio 2010, n. 1297 e 20 gennaio 2010, n. 578 nonché C.G.A.R.S. ordinanza 14 ottobre 2009, n. 1032 e 11 aprile 2008, n. 295
[21] Per cui devono essere “riconosciute alla ditta ricorrente le seguenti voci di danno:
a) reddito annuo netto conseguibile dalla società a partire dalla data di presumibile attivazione dell'impianto;
b) l'importo delle spese di istruttoria per l'ottenimento di un finanziamento privato;
c) il danno da perdita del finanziamento pubblico (visto che dall'esito della vicenda è emersa la spettanza dell'autorizzazione, ma la società, non per sua colpa, era ormai decaduta dalla possibilità di conseguire il finanziamento pubblico previsto nell'ambito del P.O.R. Sicilia 2000/2006)”: Cga per la regione Sicilia, sent. n. 1368 del 4 novembre 2010; Cfr T. Capitanio, Energie rinnovabili: la PA paga per il ritardo nelle autorizzazioni uniche, Il Sole 24 Ore - Diritto e Pratica Amministrativa, Ed. n. 1 del 1 gennaio 2011, pag. 34.
[22] “L’orientamento assunto dalla giurisprudenza costituzionale circa la valutazione di interesse nazionale in materia di tutela dell’ambiente unitamente all’affermarsi della tendenza a considerare le esigenze di protezione dell’ambiente un valore costituzionale trasversale e “integrale” hanno fatto si che nella giurisprudenza costituzionale più recente venisse abbandonata definitivamente la prospettiva del regionalismo “garantista”, improntata a una rigida separazione tra lo Stato e le autonomie regionali per assumere quella del “regionalismo cooperativo”, che tende invece a fornire l’integrazione tra i diversi livelli di governo territoriale, in ragione della dimensione e delle funzioni e degli interessi di cui ciascun soggetto è portatore, quale ente esponenziale”: B. Caravita, Diritto dell’ambiente, ed. Mulino 2001.
La prima pronuncia significativa in questo senso è stata resa in materia di tutela del paesaggio, finendo per diventare il leitmotiv di tutta la giurisprudenza costituzionale in materia di rapporti tra Stato e Regione, v. Cort. Cost., sent. n. 359 del 1986.
[23] Cort. Cost., sent. n. 242 del 1997, in “Giur. Cost.”, 1997, 2291.
[24] Cort. Cost., sent. 464 del 1991, sent. 242 del 1997, sent. 341 del 1996.
[25] Cfr. Linee Guida, par. 17.2: Le Regioni e le Province autonome conciliano le politiche di tutela dell'ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili.
[26] La Regione Veneto, con Legge regionale 18.03.2011, n. 7 (Legge finanziaria regionale per l'esercizio 2011), ha stabilito all’art. 4, rubricato Disposizioni transitorie in materia di impianti fotovoltaici a terra e di impianti di produzione alimentati da biomassa e a biogas e bioliquidi e oneri istruttori in attuazione del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 “Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” che:
- 1. Nelle more dell'emanazione del decreto del Ministero dello sviluppo economico di cui all'articolo 8 bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208 "Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente" convertito in legge con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, e della approvazione di uno specifico stralcio del Piano energetico regionale di cui all'articolo 2 della legge regionale 27 dicembre 2000, n. 25 "Norme per la pianificazione energetica regionale, l'incentivazione del risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia", relativo alla produzione di energia da fonti rinnovabili, da parte del Consiglio regionale, e comunque non oltre il 31 dicembre 2011, non possono essere rilasciate autorizzazioni alla realizzazione ed all'esercizio di impianti fotovoltaici a terra in area agricola di potenza di picco superiore a 200kWp, di impianti di produzione di energia alimentati da biomassa di potenza elettrica superiore a 500kWe, nonché di quelli alimentati a biogas e bioliquidi di potenza elettrica superiore a 1.000kWe.
- 2. Sono comunque fatte salve le istanze di autorizzazione di impianti fotovoltaici presentate alla data di entrata in vigore della presente legge.
- La Giunta regionale è altresì autorizzata ad effettuare gli studi e le analisi per la verifica del potenziale di sviluppo sostenibile della produzione di energia da fonti rinnovabili ai fini del conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1 e dell'individuazione delle aree e dei siti non idonei all'installazione di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili di cui al comma 10 dell'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 "Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità".
[27] Per un elenco completo dei provvedimenti regionali e delle Province Autonome di recepimento delle linee guida, vedasi: www.dailyenmoveme.com/normativa/regionale/commenti-ed-interpretazione-re....
[28] Cfr- TAR PIEMONTE - Torino Sezione 1, Sentenza 04.05.2011, n. 451: “Il corretto fine e onere di tutelare il paesaggio non può tradursi in un indifferenziato o generalizzato divieto di installazione di impianti fotovoltaici nella quasi totalità delle aree agricole del Comune e prescindendo da peculiarità specifiche delle aree, poiché tali impianti sono comunque oggetto di particolari discipline incentivate a più livelli. Ne deriva la correttezza della scelta della Provincia, amministrazione procedente, di disattendere la disciplina urbanistica comunale che produca un simile risultato, invocando anche la specifica valenza di variante urbanistica del procedimento di cui all'art. 12 del d.lgs. n. 387/2003”.
[29] “L'art. 12 del d.lgs. 387/2003 identifica poi espressamente gli impianti eolici quali "di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti". Anche questa qualificazione collide palesemente con il blocco generalizzato del settore previsto dalla delibera di giunta regionale della Sardegna n. 10/3, in attesa della costituzione della società prevista dalla delibera G.R. 10/1 del 12.03.2010”.
[30] La norma censurata estende l'ambito di applicabilità del regime semplificato della denuncia di inizio attività (DIA) di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), in relazione alla installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, attribuendo, a tal fine, rilevanza alla collocazione e alle caratteristiche degli impianti stessi.
Il nuovo testo dell'Allegato A del Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale (PIEAR), che è parte integrante della legge della Regione Basilicata del 2010, n. 1, al paragrafo 1.2.2.1., terzo capoverso, come riformulato dal paragrafo i) dell'art. 3, comma 1, della legge regionale n. 21 del 2010, stabilisce che gli impianti per la produzione di energia elettrica di microgenerazione da fonte eolica di potenza superiore a 200 kW ed inferiore ad 1 MW ovunque ubicati, proposti dallo stesso soggetto, sia egli persona fisica o giuridica, e/o dallo stesso proprietario dei suoli di ubicazione dell'impianto, possono essere "costruiti ed eserciti con la DIA", a condizione che siano posti ad una distanza non inferiore a 500 metri in linea d'aria.
La norma viene ad innalzare la soglia di potenza individuata, per gli impianti eolici, in kW 60, dalla tabella A richiamata dall'art. 12, comma 5, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità).
L'aumento della soglia di potenza per la quale, innalzando la capacità, dai limiti ben più contenuti di cui alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003, la costruzione dell'impianto risulta subordinata a procedure semplificate, comporta l'illegittimità della norma regionale, posto che maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione, per i quali si proceda con diversa disciplina, possono essere individuate solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la Conferenza unificata, senza che la Regione possa provvedervi autonomamente (sentenze nn. 194, 124 e 119 del 2010).
[31] “Le linee guida definiscono, per tutto il territorio nazionale, le taglie di potenza massima per gli impianti, alimentati dalle diverse fonti rinnovabili, che possono essere autorizzati con una semplice DIA [1] (denuncia di inizio attività).
Inoltre, definiscono i cosiddetti impianti minori, integrati negli edifici che, considerati "attività di edilizia libera" possono essere autorizzati attraverso una comunicazione di inizio lavori al comune”: D. Manzoni, Energia elettrica da rinnovabili: le "linee guida" illustrano l'iter per la realizzazione di impianti, Il Sole 24 Ore - Ambiente & Sicurezza
Ed. n. 21 del 9 novembre 2010, pagina 74.
[32] “La procedura che trova applicazione generale per la realizzazione e l'esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili rimane l'autorizzazione unica, fatti salvi i casi disciplinati dalle altre previsioni”: J. Recla, Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio, Ed. n. 15/16 del 18 aprile 2011, pagina 9.
[33] “ La riduzione del termine per il completamento dell'iter autorizzativo unico, di cui sopra, va letta positivamente in quanto rappresenta il tentativo da parte del decreto di ridurre la tempistica prevista per l'emissione dell'autorizzazione unica e, di conseguenza, snellire e velocizzare la relativa procedura.”: A. Ceschin, Incentivi alle fonti rinnovabili e autorizzazioni semplificate, Il Sole 24 Ore - Diritto e Pratica delle Società, Edizione n. 4 del 1 aprile 2011, pag. 7.
[34] J. Recla, Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio, cit., pagina 10.
[35] “Il disposto normativo di cui innanzi, invero, nella parte in cui sancisce che il termine massimo per la conclusione del procedimento in oggetto non può, comunque, essere superiore a 180 giorni, comporta la qualificazione come inadempimento del fatto stesso dell'inutile spirare di tale termine, posto a presidio della certezza dei tempi dell'azione amministrativa, qualora sull'istanza della parte non sia stato emesso alcun provvedimento, positivo o negativo. Rinvenuta la ratio del termine indicato nel principio di semplificazione amministrativa e di celerità che, con riferimento alla fondamentale materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia, garantisce, in modo uniforme sul territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo, dalla lettura della norma si ricava chiaramente l'intento del legislatore di favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti in questione, semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando l'apporto valutativo di tutte le Amministrazioni interessate nella Conferenza di Servizi ai fini del rilascio di una autorizzazione unica. Nella fattispecie al vaglio dell'adito Giudice Amministrativo, pertanto, nessun dubbio può ritenersi sussistente in ordine alla circostanza che la competente Amministrazione Regionale, a fronte dell'istanza avanzata dal privato, aveva l'obbligo di convocare la Conferenza di Servizi e di definire il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso e che, le eventuali ulteriori richieste istruttorie, potevano essere esaminate, più opportunamente, in quella sede”.
[36] La conferenza Stato-Regioni è stata istituita dall’art.12 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
Sulle funzioni svolte dalla conferenza in materia ambientale cfr. F. Lettera, Lo stato ambientale, Milano, 1990,62 ss.
[37] Che, in ogni caso, restano non autonomamente impugnabili, come “si evince anzitutto dal "rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico" di cui è menzione nel comma terzo a proposito dell'autorizzazione unica, la cui conformità alle garanzie ambientali e paesaggistiche deve essere assicurata dall'autorità preposta al rilascio senza particolari modalità procedimentali. La previsione di un autonomo sub procedimento si porrebbe, poi, in aperta contraddizione con la semplificazione ed accelerazione della disciplina interna, imposte agli Stati membri dall'art. 7 della direttiva 77/01/CE, diretta a "ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo all'aumento della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili... e razionalizzare ed accelerare le procedure all'opportuno livello amministrativo" di cui la disposizione in esame costituisce attuazione. L'introduzione di un atto impugnabile all'interno del procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica, sarebbe perciò difforme dall'obiettivo comunitario, perché, oltre a costituire uno iato nel quadro procedimentale, sarebbe suscettibile a paralizzare il rilascio dall'atto finale sino all'esito dell'eventuale ricorso, così frustrando gli obiettivi di semplificazione e velocizzazione imposti dalla Comunità”: TAR - UMBRIA - Perugia Sezione 1, Sentenza 03.05.2011, n. 124.
[38] Il decreto è stato pubblicato nel n. 71 della Gazzetta Ufficiale, del 28 marzo 2011, per cui i provvedimento è entrato in vigore il 29 marzo 2011.
[39] J. Recla, op. cit., pag. 12.
[40] Concetto, peraltro, già chiarito dalla giurisprudenza amministrativa: Cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 dicembre 2009, n. 7730, secondo cui il sistema correla al decorso del termine di 30 giorni la "sussistenza del titolo" abilitativo sulla base del disposto dell'art. 23, comma 5, del D.P.R. n. 380/2001, secondo cui il titolo è appunto comprovato dalla copia della denuncia da cui risultino la data di ricevimento della denuncia stessa (e gli altri elementi richiesti). Pertanto, il decorso del termine di trenta giorni, in assenza dell'emanazione dell'ordine di non effettuare l'intervento, comporta la formazione di un titolo abilitativo tacito.
[41] E. Racca, Il percorso veloce che porta agli impianti ,Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, Ed. Edizione n. 16 del 16 aprile 2011, pag. 20.
[42] Col termine “fotovoltaico” si intende la tecnologia volta a consentire la produzione di energia elettrica sfruttando le proprietà di alcuni semiconduttori, il silicio in particolare,. Questi materiali, dopo aver assorbito l’energia solare, se opportunamente lavorati e trattati, producono energia elettrice senza alcun altro intervento e senza emettere inquinanti.
Con la dicitura “solare termico” si intende, invece, la tecnica di riscaldare i fluidi attraverso la raccolta di energia solare:
essenzialmente, quindi, il solare termico è rivolto alla produzione di acqua calda per i bagni od il riscaldamento, mentre
il fotovoltaico è un vero e proprio sistema di produzione di energia elettrica, in grado di accumularla e scambiarla con la rete del gestore.
[43] “L'interessato, unitamente alla comunicazione di inizio dei lavori, trasmette all'amministrazione comunale una relazione tecnica provvista di data certa e corredata degli opportuni elaborati progettuali, a firma di un tecnico abilitato, il quale dichiari preliminarmente di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente e che asseveri, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo abilitativo”.
[44] Sono definite Zone A ai sensi del DM Lavori Pubblici n. 1444/68 le aree territoriali omogenee “interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.
[45] La qualifica per l'attività di installazione e manutenzione degli impianti si consegue mediante il possesso dei requisiti tecnico-professionali indicati alle lettere a), b) o c) del comma 1 dell'articolo 4 del Dm 37/2008, ossia: 1) diploma di laurea in materia tecnica specifica; 2) diploma o qualifica conseguita al termine di scuola secondaria del secondo ciclo, seguiti da un periodo di inserimento, di almeno due anni continuativi, alle dirette dipendenze di una impresa del settore; 3) titolo o attestato conseguito ai sensi della legislazione vigente in materia di formazione professionale, previo un periodo di inserimento, di almeno quattro anni consecutivi, alle dirette dipendenze di una impresa del settore (Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio, Ed. n. 15/16 del 18 aprile 2011).
[46] Articolo 123 - (L) - Progettazione, messa in opera ed esercizio di edifici e di impianti: Ai nuovi impianti, lavori, opere, modifiche, installazioni, relativi alle fonti rinnovabili di energia, alla conservazione, al risparmio e all'uso razionale dell'energia, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 17, commi 3 e 4, nel rispetto delle norme urbanistiche, di tutela artistico-storica e ambientale. Gli interventi di utilizzo delle fonti di energia di cui all'articolo 1 della legge 9 gennaio 1991, n. 10 in edifici ed impianti industriali non sono soggetti ad autorizzazione specifica e sono assimilati a tutti gli effetti alla manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a).